Perché i genitori non riescono a capire i confini? Se lo chiede un utente in un commento a un video di Tik Tok di un ragazzo di 16 anni che ha scoperto un cellulare in camera di sua madre, contenente gli accessi ai suoi social, alle sue foto e ai suoi messaggi.
“Non ho niente da nascondere e non ho mai fatto nulla per perdere la sua fiducia” dice il protagonista di questa storia, riferendosi a sua madre. Possiamo credergli o meno, ma la questione non è questa. La questione è infatti relativa alla liceità, o meno, dello spionaggio – perché di questo si parla – messo in piedi dalla madre.
Il controllo è figlio della paura
Quando non sappiamo, abbiamo paura. Soprattutto se non conosciamo un contesto, ignoriamo le sue regole – sociali e non – sentiamo storie ambivalenti al riguardo e, soprattutto, interessa nostro figlio o nostra figlia.
Ecco perché spesso molti genitori si ritrovano a controllare, servendosi non solo di app per il parental control ma anche di applicativi che farebbero invidia al migliore dei controspionaggi. Scassinare il lucchetto del diario segreto, in confronto, è un gioco da principianti.
La paura, l’ansia, la preoccupazione, finiscono pertanto a portare i genitori ad atteggiamenti iper-controllanti, dimenticandosi, spesso, la fiducia per strada. Se c’è fiducia, infatti, non c’è controllo. O, per lo meno, c’è in misura decisamente minore.
Perché, dunque, non vi fidate dellə vostrə figlə?
Qualcunə risponderebbe: di loro mi fido, non mi fido dei social.
Educare e dare fiducia
Se non ci si fida dei social, perché controllare lə proprə figlə e e non i social?
Conoscere i social, familiarizzare con loro, farseli raccontare da chi li abita quotidianamente, andare oltre la propria bolla e la prima impressione, non permette solo di comprendere meglio la vita dellə proprə figlə. Permette anche di acquisire tutte quelle conoscenze e competenze utili per poter poi successivamente educare a un loro uso responsabile, non controllando, ma dando, appunto, fiducia.
“Non conosco, allora controllo” rischia di essere un alibi. Un alibi per la mancanza di tempo, di voglia, di interesse ad approfondire quello che è il luogo in cui le ragazze e i ragazzi trascorrono la gran parte della loro giornata.
Per fidarsi, è necessario comprendere, per comprendere, è necessario conoscere. E se si conosce, il controllo può essere allentato e il cerchio si chiude.
Sì, ma…
Le obiezioni potrebbero essere infinite.
“Già li conosco.”
“E se conoscendo di più, trovo riscontro delle mie paure?”
“Non mi serve conoscere, lo leggo sui giornali.”
“Da soli non sono in grado di difendersi.”
E così via.
Eppure ognuna di queste obiezioni parte da un’enorme resistenza: quella di aprirsi al mondo digitale guardandolo con gli occhi dellə proprə figlə. E anche da un po’ di presunzione, ossia quella di pensare che il proprio punto di vista sia necessariamente il più giusto.
I social possono diventare il luogo in cui mettere in discussione le proprie idee. In un luogo dove le opinioni si polarizzano, diventa estremamente utile mantenere un atteggiamento interrogativo, di apertura e messa in dubbio. Un atteggiamento critico, che muove a sua volta da un pensiero critico. Ci si lamenta che lə giovanə non lo abbiano, ma di noi adulti che diciamo?
Non ci sono risposte giuste o sbagliate.
Ci sono risposte giuste o sbagliate per voi e lə vostrə figlə.
Per questo vanno ascoltatə.
1 comment
Mag-sign up sa Binance 12 Giugno 2025
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